Julian of NORWICH (1342 – 1413)

Julian of Norwich https://www.pinterest.com.au/pin/132363676530962527/

Vive come un reclusa in una cella adiacente alla Chiesa di San Giuliano a Conisford, Norwich, capitale del Norfolk, in Inghilterra, nel cuore di questa città potente e prospera che nel XIV secolo è seconda per importanza solo a Londra data la sua collocazione sulla “rotta della lana” che collega lo Yorkshire alle Fiandre. Venerdì 13 maggio (alcuni dicono 8 Maggio) nel 1373, Julian riceve 16 rivelazioni sulla passione di Cristo e la Trinità che ci ha lasciato nel testo in inglese Revelations of Divine Love. Questo testo è una meditazione a metà strada tra l’autobiografia spirituale e il trattato teologico. Le sono voluti 20 anni per scriverlo, riscriverlo e perfezionarlo, senza nemmeno menzionare il suo nome, nella preoccupazione che le rivelazioni siano a beneficio di tutti i fratelli e le sorelle nella fede.
Durante la sua vita aveva chiesto tre grazie: una grave malattia per essere in grado di staccarsi da ogni attaccamento terreno, la visione del corpo di Cristo sofferente e capire meglio la sua passione e tre” ferite “spirituali: il vero pentimento dei suoi peccati, la cum passione con Cristo, il desiderio “con buona volontà” di Dio “. (Della Croce Giovanna, p.57).
È proprio nella fase più acuta della malattia che Julian riceve le “rivelazioni” sulle quali ella porterà il suo discernimento, rassicurandoci così sulla loro natura non patologica. Al centro del suo messaggio c’è la misericordia di Dio, da qui l’ottimismo che emerge dal suo edificio spirituale: “Alla fine tutto sarà bene” è il messaggio che sembra caratterizzarla meglio e che è così spesso ricordato nel libro delle Rivelazioni. Il misticismo di Julian è fondamentalmente cristocentrico. Attraverso questo rapporto di amore ( “Cristo è per questa donna il grande amante sempre disposto a sacrificarsi” gioiosamente “per la redenzione del mondo“, scrive Domenico Pezzini) si accede alla visione trinitaria. Questo gli permette di ignorare il clima spirituale del tempo, quello dell’Uomo dei dolori, e di accedere alla luce della risurrezione, perché nella passione di Gesù brilla l’immenso amore di Dio che pervade l’universo e che respinge, distrugge e deride le forze del male. E “alla fine tutto sarà bene“( All shall be well).
Secondo lei, siamo creature che devono essere rassicurate dalla maternità di Dio che non ci priva del latte della vita soprannaturale. La realizzazione della maternità di Dio, affidata al Figlio, la seconda figura della Trinità, è una delle sue affermazioni più originali in armonia con certe correnti teologiche contemporanee. “La cara e gentile parola Madre è così dolce e buona che non si può davvero dire di nessuno e di nessuno se non per mezzo di lui e per colui che è la vera Madre della vita e di tutto” (Libro delle rivelazioni, cap. 60). Ma questo non dovrebbe essere inteso come una rivendicazione della maternità contro la paternità, piuttosto una visione più ricca ed equilibrata di Dio. “E proprio come nella sua cortesia, Dio dimentica i nostri peccati finché ci pentiamo di loro, così vuole anche che dimentichiamo i nostri peccati e le nostre preoccupazioni. Perché Dio vuole che siamo sempre fiduciosi nell’amore e nella pace e nella tranquillità, come Lui è per noi”. La scoperta di un Dio così familiare ci apre alla fiducia e alla gioia, sentimenti di cui il suo libro trabocca.
Grande amante del discernimento, equilibrata e lucida, Julian unisce la pietà affettiva a una solida base teologica. Si parla di lei oggi come di un possibile “dottore della Chiesa” oltre che a una scrittrice che ha per lo stile della sua prosa un posto importante nella letteratura inglese. Troviamo anche in lei una donna geniale e, riprendendo la bella immagine di P. Renaudin, un volto sorridente che dona al mondo la sua gioia interiore.
La sua missione è di salvarci e la sua gloria è di farlo e la sua volontà è che lo sappiamo: vuole che lo amiamo dolcemente e che ci fidiamo di lui in modo dolce e forte allo stesso tempo. E questo lo rivelò con queste parole gentili: Ti veglio con assoluta protezione” (Libro delle rivelazioni, cap.61)

Fonti :
Della Croce Giovanna, I Mistici del Nord, Ed.Studium, Roma, 1981
Giuliana  Di  Norwich, Libro delle rivelazioni, Ancora, Milano, 2003

Era Julian di Norwich una beghina ?

Lo scopo di quanto segue non sono né le sue visioni descritte nel suo libro Rivelazioni del Divino Amore, né una discussione sulla sua visione di Dio. Più concretamente, vorrei presentare e discutere la mia personale convinzione, mai espressa da altri/e, che Julian debba essere considerato una beghina, una beghina anacoreta.

Anche se l’esperienza della vita beghinale è soprattutto comunitaria, sono sempre esistite delle anacorete o delle recluse, proprio come Julian aveva scelto di vivere. La più nota è Marie d’Oignies (1177-1213) che dopo più di 12 anni passati a curare i lebbrosi insieme al marito a Nivelles, nel 1207 si ritira a Oignies dove vive come reclusa in una cella contigua alla chiesa del Priorato dei Canonici Regolari. Intorno a lei, seppur reclusa, si forma la prima comunità beghinale storicamente attestata.

Ecco le ragioni per le quali Julian dovrebbe essere considerato una beghina.

La prima caratteristica specifica della scelta beghinale è di dedicarsi a una vita di profonda spiritualità al di fuori di un’istituzione religiosa, monastica o ecclesiale. La ricerca della perfezione mantenendo uno statuto secolare consentiva alla beghina un percorso di libertà personale, libertà anche nello scegliere il confessore/o padre spirituale. Questo poteva significare anche la scelta di una guida femminile, attraverso un’amicizia particolarmente intensa, come quella che unì Julienne de Cornillon (1193-1258) alla sua più anziana amica, anche lei reclusa, Eve de Saint-Martin (1190-1265) presso la quale, a quanto pare, Julienne anche si confessava. (https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%88ve_de_Saint-Martin).

Un elemento teologico importante e molto diffuso nel mondo beghinale è il volto assolutamente tenero, misericordioso, amante di Dio, che non permette mai di pensare a un Dio adirato, perché la sua bontà è tale che non conosce rabbia o indignazione, ma solo tenerezza e compassione. È questa onnipotenza dell’Amore oltre ogni limite che nel 1235 portò al rogo Alydis di Cambrai per aver affermato che la potenza dell’Amore poteva far risalire anche Lucifero dall’inferno. “La misura dell’amore è amare senza misura” scriveva san Bernardo di Chiaravalle, uno degli autori più letti dalle beghine. E l’Amore supera la legge e le norme.

Infine, ancora un tratto della spiritualità tipicamente beghinale molto presente in Julian sono “i sensi spiritali”, come canale d’accesso della visione, un modo per superare la comprensione intellettuale e percepire l’invisibile. La beghina Mechthild di Magdeburg (1208/10 – 1282) ne è altra grande interprete. Spesso viene usato da Julian il termine “tocco” (touching) per descriverli. Attraverso una ricchezza di registri, Julian è una  mistica che ci descrive le forme delle sue visioni, cogliendole sia nelle loro immagini fisiche, con una notevole dovizia di dettagli (colori, forme, odori…come per esempio la visione del diavolo nella 16° rivelazione) che spirituali, in questo caso senza alcuna immagine fisica, ma colte allora attraverso i “sensi spirituali”.

Abbiamo poche informazioni sul movimento delle beghine in Gran Bretagna, ma sappiamo che c’erano anche beghine a Norwich (Kim Nataraja WCCM, Insegnamenti settimanali del 17 settembre 2017 – Anno 5 n. 23), il che è molto plausibile dato che Norwich, la capitale del Norfolk, era una città ricca e potente, grazie alla sua posizione sulla “strada della lana”, che collegava lo Yorkshire alle Fiandre. E sappiamo che i lavori legati alla lana come lo sbiancamento e il lavaggio erano spesso lavori intrapresi dalle beghine.

Propongo questa personale ipotesi a chi vuole corroborarla ma anche a chi volesse contraddirla. Grazie di scrivere a: pancierasilvana@gmail.com

 

 

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